mercoledì 14 marzo 2012

Grazie a Dio procediamo verso l'alto.

Mentre procediamo in parete, proprio davanti al nostro naso vediamo uno spit. Uno spit è un chiodo  a pressione, con un anello nel quale far passare un moschettone. In una parete di roccia, lo spit è una presenza estranea, che balza agli occhi e ci fa riandare a chi ha percorso quella parete per primo e con fatica, perizia e lungimiranza ha piantato quel chiodo proprio lì, dove sarebbe servito anche a noi. Come non provare gratitudine e riconoscenza per chi ci ha preceduto?

Riprendere fiato...

Quando, dopo un passaggio difficile, ci capita di avere dei buoni appigli per mani e piedi, la tensione si  alleggerisce un po’ e ci sembra che la parete in quel momento mostri il suo volto più amichevole e quasi ci venga incontro. È il momento di riprendere fiato e, ritrovata la sintonia con la parete, proseguire l’ascesa.

Confidiamo nel Signore, sempre.

Complimenti! Siamo bravissimi! Superato il primo strappo iniziale, la parete si addolcisce e diviene più semplice. Gli appigli sono evidenti e la fatica meno opprimente. Tuttavia anche i tratti così semplici nascondono un’insidia: dando per scontata la loro facilità, li prendiamo sotto gamba e li affrontiamo con spavalderia, ritenendo di avere ormai in noi la capacità di superarli. Così facendo, il nostro baricentro si allontana dalla Roccia (della nostra Salvezza) e il nostro peso ci trascina nel vuoto. È il momento di ricordarsi la lezione appresa, anche se l’impresa ci sembra più facile e la tecnica acquisita. Confidiamo nel Signore e non nelle nostre forze!

Dimentica i tuoi limiti e vola verso il cielo!

I primi metri di salita sono facili in maniera quasi ingannevole: basta un salto e siamo a terra, l’altezza non ci spaventa! Ma è sufficiente salire un poco di più perché la vertigine ci colga, facendoci avvertire la pericolosità dell’altezza e attirandoci verso valle. A questo punto non bisogna fare l’errore di guardare verso il basso, di rimanere fermi a commiserarci e a convincerci che non ce la possiamo fare, che è troppo difficile per noi. Bisogna guardare in alto! Dimenticarci dei nostri limiti, delle nostre paure e cominciare a muoverci verso la vetta che ci aspetta in tutta la sua bellezza.

sabato 10 marzo 2012

Il baricentro della nostra vita.

Eccoci giunti alla parete di roccia che dovremo affrontare. Le vie sono diverse, ma i consigli sono gli stessi per tutti, come una sola è la vetta sulla quale ci incontreremo. Da adesso si sale in verticale. Se c’è ancora qualcosa che pesa nel nostro zaino, sarà bene lasciarlo qui. Magari siamo già stanchi e l’idea di uno sforzo ulteriore ci spaventa e ci fa venire voglia di mollare tutto e tornare a valle. Ma la sfida è lanciata e chi è stato sulla vetta annuncia che è un’esperienza indimenticabile. La salita in parete esige un cambiamento della nostra postura: non è più camminare, è arrampicare; non è più andare avanti, è andare su. Per fare questo, dobbiamo stare il più possibile vicini alla parete e fare in modo che il nostro baricentro non si allontani da essa, pena la caduta nel vuoto. È una questione di equilibrio, tutta nuova rispetto al nostro muoverci abituale. Scopriamo oggi che anche l’Ave Maria ha un baricentro nel nome di Gesù, la cui accentuazione fa la differenza tra un Rosario fruttuoso e
una recita vuota.

venerdì 9 marzo 2012

Fiducia in Dio.

Nei passaggi più difficili di un sentiero, talvolta l’amico, che ci tende la mano e ci aiuta a superare un gradino più alto, ci è di grande conforto, ne sentiamo la vicinanza e con gratitudine gioiamo della sua compagnia lungo il cammino.
La preghiera del Padre Nostro, insegnataci direttamente da Gesù, è l’aiuto per superare i momenti di difficoltà e, in virtù della paternità di Dio, viviamo la fratellanza con tutta l’umanità.

giovedì 8 marzo 2012

Quando il silenzio diventa preghiera.

A volte, quando si ammira il paesaggio, si rimane ammutoliti e quando si è in compagnia il silenzio che si crea diviene quasi palpabile e non si osa interromperlo, perché in quei momenti il silenzio parla alla nostra anima. Nella storia della salvezza, il Signore conduce nel deserto l’umanità, sua sposa, e parla al suo cuore (Osea 2,16).
Per ascoltare la voce del Signore dobbiamo dunque tacere e creare momenti di silenzio e di ascolto.